“Dio c’è e noi dobbiamo avere fiducia!”

31.03.2018

"Dio c'è e noi dobbiamo avere fiducia!"

Non so se queste righe sono adatte come editoriale del giornale della nostra associazione, ma sono le uniche di cui sono capace in questo momento.

Le scrivo dalla terapia intensiva pediatrica dell'ospedale di Bergamo dove è ricoverata la mia bimba Sara, sei mesi, che è stata da poco operata per correggere una malformazione cardiaca spesso associata alla sindrome di Down.

L'intervento è andato bene, ma alcune complicanze rendono faticoso il recupero e prolungano in modo inaspettato questi strani per certi versi strazianti, esercizi spirituali predicati in un luogo dove morte e vita, gratitudine e disperazione, fede e ribellione, miracolo e disillusione costituiscono un tutt'uno. Oggi in particolare la morte sembra aver vinto: una bambina non ce l'ha fatta siamo tutti sconvolti, ma quello che mi ha doppiamente sconvolto, è il papà di un bimbo albanese anche lui, come la piccola andata in cielo, vicino di letto di Sara, A suo figlio hanno tolto l'intestino alla nascita, da nove mesi è in attesa di un trapianto (attesa terribile: per salvare tuo figlio devi attendere che nel dramma finisca un'altra famiglia), ora c'è stato pure un arresto cardiaco e il fegato ' compromesso. Questo papà, di cui ignoro il credo religioso, senza avermi mai visto prima, mi ha semplicemente abbracciato e lasciato queste parole in cui, era evidente, credeva con tutto se stesso e senza tentennamenti: "Dio c'è e noi dobbiamo avere fiducia!".

Lui ci credeva... e io?

Io, in questo reparto d'ospedale, ho capito che dopo anni di preghiera, studio, meditazione biblica, dotte letture, del Dio di Gesù Cristo non ho proprio capito nulla.

Molte volte, specialmente durante le catechesi del tempo di quaresima, mi sono sbilanciato in ironici commenti sui comportamenti degli apostoli di fronte alla passione di Gesù. Ma come? Se sono stati fianco a fianco con Cristo per tre anni e non avevano capito che tipo di messia Dio aveva inviato?

...E avanti con i commenti su questi discepoli preoccupati di fare carriera, pronti a morire per un messia liberatore, ma traditori di quello fattosi agnello condotto al macello. Perdonatemi fratelli apostoli: se voi non avete compreso Gesù, io non ho capito né lui, né voi. In questa rianimazione ho fatto Pasqua e il problema non è che si sente Dio lontano o peggio assente: Dio c'è eccome! Lo si sente ben presente, il problema è che sperimenti sulla tua pelle cosa significa che le sue vie non sono le nostre. L'operazione di Sara l'abbiamo preparata e accompagnata con tanta preghiera in famiglia, una preghiera credo vera, sincera, carica del desiderio di unire il nostro amore a quello di Dio e vincere così, insieme, il male e il dolore. Fatica, dolore, angoscia e problemi poi però sono arrivati e io non nascondo che mi sono sentito tradito. Fatica, dolore, angoscia sono arrivati e io, caro Gesù, se si fosse presentato qualcuno o qualcosa, qualsiasi qualcuno o qualsiasi cosa che me li avesse tolti o alleviati penso che ti avrei svenduto, non per i trenta denari di Giuda, ma gratis.

Anch'io come Pietro mi sentivo pronto a morire per te; in questo ospedale ho capito che ero pronto a morire per i miei progetti e le mie idee alle quali tu mi sembravi perfettamente funzionale. Oggi, difronte alla morte e alla sofferenza dei piccoli innocenti, mi è sembrato di vedere realmente Gesù riprendere la via del Calvario e farsi inchiodare di nuovo alla croce, ancora una volta, nello stesso modo. Un Dio così mi ha fatto paura e anch'io sono scappato, esattamente come gli apostoli nel Getsemani...

Per me non c'è stato un gallo che ha cantato, ma l'allarme di un monitor che è scattato; non c'era nessuno ad accusarmi di nulla, ma come Pietro nel cortile della casa del sommo sacerdote, pensando a Gesù, ho potuto solo dire: "io non lo conosco!".

Il dipinto posto in copertina del giornale è stato dipinto da Giancarlo, uno dei tanti sconfitti e umiliati dei nostri tempi. Il protagonista (Giancarlo stesso) è quella macchia bianca reclinata su se stessa al centro della scena che dai colori chiari della società in cui vive da fallito si avvia la parte più scura, verso l'abbandono. Grazie Giancarlo: hai saputo dipingere come mi sono sentito durante il ricovero di mia figlia e la mia fede. Il protagonista allora è Giancarlo, ma anch'io. Forse anche tu.

Un solo appunto: forse siamo si falliti, ma non incamminati verso l'abbandono. Probabilmente qualche volta la vita ci lascia a terra, feriti, come l'uomo della parabola sulla via tra Gerusalemme e Gerico. Speranza però, caro Giancarlo e tutti gli umiliati e poveri della vita a cui ora so di appartenere: il samaritano che ci soccorrerà, certo con i suoi mezzi e le sue vie, è Gesù stesso. Quel Gesù che ci accogliamo, abbandoniamo, cerchiamo, tradiamo, che ci affascina e scandalizza. Siamo fatti così, accettiamoci come lui ci accetta. Una sola condizione indispensabile: anche quando ci destabilizza, fidiamoci del suo amore e se la tentazione di andarcene lontano da lui ci prende, chiediamo a Pietro di urlare forte, ancora una volta, per noi, per tuta la chiesa, con passione e fiducia: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio".

E quando stiamo per affondare nell'angoscia e nella disperazione, quando siamo difronte ad un bivio drammatico, come Pietro e Giuda, Signore fai ancora cantare un gallo che ci svegli, che ci permetta di incrociare lo sguardo del Cristo e ci ricordi che, certo, la croce non la capiremo, ma mai il Calvario è la sconfitta della speranza e sempre è il misterioso atto penultimo prima della risurrezione, della pace, della felicità.

"Alleluja, Cristo è risorto!", "Sì, è veramente risorto!": così si salutavano i cristiani il giorno di Pasqua.

Sicuramente resto confuso e un po' scosso, ma sono sicuro che la nostra associazione, anche quest'anno, immergendosi nelle croci che la provvidenza le porrà sulla via, con pazienza e umiltà, saprà in qualche modo essere a fianco delle tante storie e situazioni che la figura dipinta da Giancarlo rappresenta.

Ha senso essere associazione se sappiamo stare li, con la nostra semplicità per adempiere una meravigliosa missione: raccontare la gioia e l'energia vitale della resurrezione di Gesù e in essa il fedele, eterno, provvidente, amore di Dio per tutte le sue creature.

Marco Ruggeri