Congo:  notizie da Goma

04.04.2018

Vi presentiamo le testimonianze di Safari e di Espoir che vivono al entro Salesiano di Goma che la nostra Monica ci ha inviato. Due storie di abbandono e di disperazione che solo l'incontro con persone "buone" e la presenza costante della provvidenza riescono a trasformare in preziose esperienze di rinascita ad una nuova vita.

LA STORIA DI SAFARI 14 ANNI

Mi chiamo Safari che in swahili significa viaggio ho 17 anni, sono nata a Kisangani, dove ho vissuto fino all'età di 14 anni. Il mio papà ha abbandonato me e i miei fratelli quando ero piccola, non ho nessun ricordo di lui e ad oggi risulta scomparso. Mia madre non potendo stare sola decide di risposarsi e si sceglie un militare. Il battaglione del mio patrigno viene destinato a Bukavu in Sud Kivu per cui tutta la famiglia si trasferisce a vivere li. Purtroppo tra me e il secondo marito della mamma non scorre buon sangue, continuiamo a litigare e nulla di quello che faccio io va bene. Stanca di tutto questo, un bel giorno decido di partire e lasciare la casa di famiglia, mi dirigo Goma dove non avendo nessuno mi ritrovo a vivere per strada insieme ad altri ragazzi e bambini. A Goma la vita diventa sempre più difficile, per strada, senza cibo e nessuna persona con cui stare, esposta ad ogni forma di pericolo è veramente dura. Passano sei mesi e finalmente un giorno incontro una donna che lavora al porto come venditrice di bevande, mi prende sotto la sua ala protettiva, da una parte io l'aiuto e dall'altra lei mi protegge e si prende cura di me. Mentre vivo al porto conosco un uomo è molto gentile e si dimostra interessato a me, iniziamo a frequentarci e poco dopo rimango incinta. L'uomo si dimostra in un primo momento disponibile ad assumersi le sue responsabilità nei miei confronti e del il piccolo che porto in grembo, ma un giorno scappa via lasciandomi sola, ad oggi non so più assolutamente nulla di lui. Sola e incinta di 6 mesi ritorno a vivere in strada senza alcuna speranza di cambiare il corso della mia vita e disperata per la vita che porto in grembo. E siccome non c'è mai fine al peggio, un giorno durante un'operazione "puliamo le strade di Goma dai bambini di strada" vengo arrestata da alcuni poliziotti e portata nella prigione Centrale di Goma. Operazione crudele e indiscriminata, frutto di manovre politiche che hanno causato l'arresto di decine di bambini. Nella prigione con uomini e donne stipati insieme in locali che dovrebbero contenere solo un terzo di noi, la mia giovane età e il mio stato non fanno differenza. Non vi dico come ho vissuto quei giorni, sono stati terribili, le condizioni di vita della prigione erano disumane, dovevi convivere con uomini, donne, bambini e ratti. Se non avevi un parente nessuno ti portava da mangiare e se ti ammalavi il tuo destino è era già segnato. Un giorno, mentre la disperazione non aveva più posto talmente era grande, ecco che le porte si aprono, una guardia mi dice di alzarmi perché qualcuno è venuto per me, davvero per me: "Chi può esserci in questo infinito mondo che si è accorto di me, chi al mondo sa che esisto?" Dopo giorni bui, racchiusa e circondata da mura scure sporche e sudicie ecco la luce, il sole illumina il mio viso, gli occhi si stringono perché non sono più abituata, nella prigione per la maggior parte del tempo mancava anche l'elettricità. Mi trovo davanti un uomo gentile, che mi dice che è venuto a prendermi per portarmi in una casa dove ci sono altre ragazze nelle mia situazione. In seguito scopro che il Centro Don Bosco Ngangi ha collaborato con il Tribunale dei Minori di Goma per far uscire i bambini dalla prigione e tra questi bambini c'ero anch'io. Il Centro si offre di prendersi cura di noi, i maschi vanno in un centro chiamato Gahinja invece io mi ritrovo a casa Margherita, una casa che accoglie le ragazze. Ora vivo qui da qualche mese e il 18 agosto del 2017 è nato il mio meraviglioso bambino che ho chiamato Baraka Moise, Baraka in swahili vuol dire benedizione. Entrambi adesso siamo curati, accuditi e sostenuti, sono finalmente serena, il senso di paura e di angoscia sta piano piano scomparendo. Ora approfitto di questo tempo per pensare e costruire concretamente il mio futuro. Infatti non solo ho ripreso gli studi interrotti, ma seguo anche un corso di cucina, cosi il giorno in cui rientrerò al mio villaggio, sarò capace di fare qualcosa e potrò occuparmi del mio bambino. 

Espoir, età 17 anni

E' il 1998, al momento dell'assembramento congolese per la democrazia (RCD), il territorio del Masisi a 50 Km dalla città di Goma è pieno di militari. Come sempre dove ci sono i militari, ci sono le vittime del loro comportamento, infatti uno dei militari seduce e lascia incinta una ragazza del villaggio. Dopo averla abbandonata senza assumersi nessuna responsabilità lascia il territorio insieme al suo reggimento per un'altra destinazione. Nel 1999 nasce Espoir, né la mamma di Espoir né la famiglia della mamma conoscono la provenienza del militare per cui, nessuno può rintracciarlo. Passa il tempo ed Espoir cresce, ma non è considerato il benvenuto dalla famiglia materna, nessuno lo vuole, non sanno farsene di lui. Un bambino a cui nessuno ha pagato la dote non appartiene alla famiglia, non ha statuto. Questa situazione di rifiuto porta la mamma di Espoir a prostituirsi e questo ha come conseguenza altri 4 bambini dopo Espoir tutti di papà diversi.

Tutto questo turba molto la mamma di Espoir, infatti inizia ad avere dei momenti di instabilità mentale, inizia a bere a maltrattare e insultare i suoi bambini e alla sera rientra a casa quasi sempre ubriaca. Espoir esasperato lascia la casa della mamma per andare a vivere con la nonna, sfortunatamente una notte mentre dorme profondamente, la mamma si presenta alla casa della nonna con un machete e cerca di uccidere Espoir, il bambino riesce a salvarsi e scappa di casa anche perché i vicini svegliati dalle grida intervengono e chiamano le autorità locali. Espoir per motivi di sicurezza trascorre comunque la notte a casa dello zio. Il mattino dopo finita la messa domenicale, il bambino avvicina il parroco e gli racconta tutti i suoi problemi. Il parroco vista la situazione recupera il bambino e lo mette in un monastero e poi chiede ai salesiani se possono accoglierlo nel loro Centro. Il 2 luglio 2013 Espoir viene portato a Casa Gahinja malato, il suo corpo è pieno di piaghe e molto magro. A Gahinja Espoir viene curato, nutrito e ritrova il suo spirito di bambino. Da quando è al centro nessun membro della sua famiglia è venuto a trovarlo o si è informato su come stesse. Solo i preti che lo hanno accolto e che poi lo hanno orientato a Gahinja sono stati presenti e hanno sempre chiesto di lui. A Gahinja Espoir ha potuto studiare e recuperare gli anni persi. Infatti ha frequentato il centro di recupero scolastico e ben presto potrà ricevere il diploma di scuola elementare, ora è allegro e esprime i suoi sentimenti. Per un lungo periodo è stato triste e isolato. Il suo progetto d'avvenire è quello di finire la scuola e fare un corso professionale di modo che possa un giorno tornare a casa sua con qualcosa che sa fare. Per quanto riguarda la mamma con grande sorpresa a fine dicembre 2017 ha cominciato a ricontattarlo via telefono. Questo è un gesto molto importante in quanto può permettere a Espoir di vedere il futuro a casa sua, nel suo villaggio con i suoi fratelli.